Ilaria Capua e il devastante scenario della cultura scientifica in Italia

Io non conosco Ilaria Capua.

Non ne avevo mai sentito parlare fino a poco tempo fa, poi ho scoperto che si tratta di una ricercatrice di prestigio internazionale (a parlare per lei sono i riconoscimenti, non certo io), una veterinaria che si occupa di virus legati agli animali e che il suo gruppo di ricerca (o meglio, uno degli ultimi gruppi di ricerca che ha diretto) è stato uno dei riferimenti mondiali per le epidemie – per qualche periodo molto note al pubblico – di “influenza aviaria” (vi ricordate? Panico, giornalisti che mangiavano pollo in diretta per dimostrare che non c’era rischio…cose così).

Se per molti quella situazione ora è solo uno sbiadito ricordo, che a qualcuno provocherà anche un sorriso, beh, allora era un serio problema sanitario internazionale e il gruppo di ricerca di Ilaria Capua era in prima linea per cercare una soluzione al problema.

Scopro così che, pur non conoscendo personalmente la dottoressa Capua, io e lei siamo stati vicini, nel senso topografico del termine, dato che ho frequentato il campus di Agripolis a Legnaro (Padova) dall’ottobre 2005 (quando entravo come fresca matricola al corso di laurea in Tecnologie Forestali e Ambientali) al marzo 2014 (quando ho difeso la mia tesi di dottorato in Scienze delle Produzioni Vegetali con un lavoro sui coleotteri del legno in un contesto di cambiamento climatico). In quegli stessi anni Ilaria Capua lavorava ai suoi progetti di ricerca presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSV) separato dal mio campus da un fosso e una bassa staccionata di legno.

Mi diventa inevitabile, quindi, simpatizzare per lei. Solo chi ha trascorso una mattina di novembre nella nebbia che non ti fa vedere dal parcheggio un edificio distante 20 metri può capire. Legnaro è un posto piacevole in primavera, ma non da novembre a febbraio. Proprio no.

E allora, visto “l’ambiente ostile” ti butti nello studio o nel lavoro, e fai qualcosa che davvero ti appassiona e a cui decidi di dedicare una buona parte di te: la ricerca.

Caspita, ne ho scritte di righe prima di accennare anche solo brevemente perché la dottoressa Capua è balzata agli onori delle cronache. Forse perché non è di questo che voglio parlare. Eppure voglio parlare del suo libro: “Io, trafficante di Virus”.

Il libro, a partire dal suo titolo parla di “una storia di scienza e di amara giustizia”, parla di un’accusa infamante, di traffico di virus al fine di ricavare soldi dalla vendita dei vaccini (a carico di una persona che ha speso tempo ed energie perché i dati delle sue ricerche fossero pubblici e disponibili). Un’accusa caduta nel nulla. Archiviata, smontata, ridotta a pezzi. Eppure non senza effetti sulla vita personale della dottoressa Capua, che ha deciso per questo di lasciare l’Italia e spostarsi negli Stati Uniti, in Florida, dove oggi dirige un nuovo centro di ricerca.

I dettagli di questa storia sono raccontati bene, in un italiano semplice e comprensibile anche a chi non ha mai trattato temi tecnici come i virus o i vaccini, non serve che ne parli io.

Io voglio sottolineare due cose che mi sono balzate agli occhi dalla lettura del libro: la dedizione di una vita alla ricerca del sapere e l’analfabetismo scientifico ancora troppo presente, anche ai massimi livelli istituzionali, nel nostro paese.

La prima parte del libro è un inno. E’ la spiegazione più bella di cosa voglia dire fare ricerca, puntare all’eccellenza, vivere con la valigia in mano e dover limitare il tempo dedicato alla propria famiglia e ai propri amici, perché si viaggia, si lavora senza orario, “senza lasciar cadere la penna alle 16”. Tutte cose pesanti, faticose, ma raccontate da una persona che ama il suo lavoro e che fa capire come questa fatica sia nulla quando raggiungi un risultato che insegui da tanto tempo, e magari con qualche difficoltà legata al tuo essere donna in un modo di uomini.

La seconda parte del libro, quella che parte dall’inchiesta de L’Espresso che manda in mondovisione l’accusa di traffico di virus contro Ilaria Capua prima ancora che lei sapesse di essere sotto indagine, è un triste ritratto. Racconta di un’Italia che poco o nulla sa di scienza, intesa proprio come metodo scientifico. Si confonde una malattia con un’altra, tanto che importa? Il nome è quasi uguale. Si usano termini impropri sui quotidiani, e allora? Domani uscirà un altro quotidiano, se anche una definizione non era corretta, pazienza! E poco importa se per quella “definizione” presa alla leggera ci sono voluti anni di studio, lavoro, sacrifici.

“Sono venticinque anni che studio i virus, e io devo dare spiegazioni a chi non ha capito nulla?”. Questa frase è, a pare mio, l’emblema del libro. Può sembrare arrogante, indisponente, ma è la realtà. In questo caso Ilaria Capua scrive questa frase spiegando che veniva accusata di cose semplicemente inesatte, non comprese e male interpretate. Cose che non stanno né in cielo né in terra messe sul tavolo da chi non aveva la minima preparazione anche solo per comprendere quello di cui stava parlando (Ilaria Capua usa, con tantissima diplomazia, il termine misunderstanding).

Questo, purtroppo, succede tutti i giorni, a molti scienziati, ricercatori e tecnici. Pensiamo alle polemiche sui vaccini, in cui presunti “genitori informati” (dove poi?) vogliono spiegare ai propri medici che la medicina tradizionale sbaglia. Pensiamo all’economia, dove tutti ormai si sentono in diritto di dire la propria, anche chi non ha mai studiato mezza riga. Personalmente penso a tutti quelli che mi spiegano come fare il mio lavoro (come si gestiscono gli alberi e l’ambiente urbano e forestale, nello specifico), senza saper distinguere un pino da un cipresso.

A quanto pare, la competenza non serve più a nulla, contano solo le opinioni. E in nome della sacralità delle opinioni si tralascia un passaggio fondamentale: quali basi ci sono per avere un’opinione? Perché no, le opinioni non sono tutte uguali. Non lo sono le competenze e non lo sono le professionalità.

Per questo penso che servano più persone come Ilaria Capua. Non certo per essere tutti dei riferimenti mondiali, non sarebbe possibile. Servono più persone che, come Ilaria, si appassionino alla ricerca, dedichino la propria vita, o parte di essa, alle discipline scientifiche (e al metodo scientifico), persone che portino la cultura scientifica ai vari livelli della nostra società.

E serve un Paese che aiuti queste persone. Un Paese che accetti le evidenze scientifiche e che si affidi alle competenze di chi ha studiato, si è sacrificato e ha fatto fruttare quegli investimenti che proprio il Paese ha fatto – forse inconsapevolmente? – sulla sua formazione.

Serve più scienza. Presto, possibilmente.

E’ il momento di parlare di Carnivori

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E’ il momento di parlare di Carnivori.

E’ il momento di farlo senza preconcetti, senza dover accontentare o assecondare punti di vista estremi, è il momento di farlo da un punto di vista tecnico-scientifico.

Sotto queste premesse è nato un progetto: un corso in 4 lezioni frontali (più un’uscita da organizzare nei mesi primaverili) in cui si parla di carnivori, con particolare attenzione alle specie della zona Alpina Italiana e al loro rapporto con l’uomo e le attività antropiche.

La parte didattica è diretta responsabilità di Fauna360, ossia mia e di Alberto Carradore (per chi non sapesse cosa facciamo può dare un’occhiata anche qui), l’organizzazione è un preziosissimo contributo dell’Associazione Universitaria Studenti Forestali (AUSF) di Padova.

Il corso si terrà nei giorni 6, 7, 13 e 14 dicembre 2016 (due martedì e due mercoledì) dalle ore 17,00 alle ore 19,00 presso l’aula 10 dell’edificio Pentagono di Agripolis (Scuola di Agraria e Medicina Veterinaria) a Legnaro (PD).

I contenuti del corso andranno dalla sistematica alla morfologia dei carnivori in generale, si parlerà in generale e nello specifico – per le principali specie – dei rapporti e dei contrasti con le attività umane, del valore ecologico e dell’impatto dei carnivori sulle politiche di tutela ambientale. Si approfondiranno le tematiche relative a orso (Ursus arctos) e lupo (Canis lupus), in particolare di dinamica delle popolazioni, morfologia, biologia ed etologia, si introdurranno anche la biologia e l’ecologia di lince (Lynx lynx), volpe (Vulpes vulpes) e lontra (Lutra lutra). Saranno introdotte anche le tecniche di monitoraggio e gestione.

I dati e i contenuti presentati durante il corso sono il frutto della collaborazione di Fauna360 con ricercatori e amministrazioni che quotidianamente lavorano a contatto con i carnivori e le problematiche ad essi associati.

Il corso avrà un taglio tecnico-divulgativo ed è rivolto a studenti di scienze forestali, biologia, scienze naturali, medicina veterinaria, ma anche a tutti coloro che sono interessati ad approfondire l’argomento. Al termine del corso sarà rilasciato un attestato di partecipazione

Il corso (4 lezioni) ha un costo di € 20,00. Maggiori informazioni modulo di iscrizione si possono trovare nel sito web dell’AUSF (ausf.pd@gmail.com) o al form bit.ly/CorsoCarnivori

P.S. Il corso è organizzato negli stessi giorni in cui ad Agripolis sarà possibile assistere alla mostra sui carnivori “Presenze silenziose”. Un motivo in più per venire a trovarci!

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