Crescite e inevitabili conseguenze

Piccolo ragionamento sulle popolazioni animali.

Immaginiamo una specie animale. Il nome della specie non è importante in questo momento, la chiameremo X. Ci basta sapere che è una specie onnivora e che dal punto di vista ecologico può essere inserita tra le specie ecosystem engineers, ossia è una di quelle specie in grado di modificare l’ambiente per trarne un vantaggio (come i castori che costruiscono dighe, tanto per farsi un’idea del concetto).

La specie X vive su quella che è di fatto un’isola, ossia un ambiente limitato dal quale non può spostarsi per colonizzare eventualmente altre aree idonee alla sua vita; dunque la popolazione generale di questa specie non subisce immigrazione o emigrazione, le fluttuazioni sono legate unicamente a natalità e mortalità (questo facilita la comprensione delle dinamiche perché elimina due variabili non proprio secondarie).

La specie X ha un ottimo successo, è cresciuta e continua a crescere in modo molto spinto ma potrebbe essere prossima al raggiungimento – o avere da poco raggiunto – il “punto di flesso”, ossia il punto in cui l’aumento degli individui inizia a rallentare pur rimanendo in una fase di crescita (per gli amanti dei grafici direi “seguendo una funzione logistica”).

(del concetto di crescita di una popolazione avevo parlato anche in un vecchio articolo sui lupi, per chi volesse recuperarlo)

Dal punto di vista della distribuzione X si trova concentrata in alcune aree del suo ambiente ma dal punto di vista genetico non ci sono barriere tali da impedire il contatto tra sottogruppi, risulta di fatto impossibile identificare geneticamente delle sotto-popolazioni. I vari sottogruppi sono interconnessi in modo molto efficace e continuo.

Per quanto riguarda lo stato attuale si evidenzia un problema: X sta raggiungendo una consistenza (cioè un numero di individui) tale da compromettere le capacità del sistema di rigenerarsi: in sostanza la specie sta “consumando” più di quanto il suo ambiente riesca a produrre. Questa situazione accade spesso quando una popolazione, ad esempio di erbivori, raggiunge numeri troppo alti perché le specie vegetali di cui si nutre possano “produrre” a sufficienza per sfamare tutti gli individui; in quel caso il consumo inizia a minare anche le riserve, oltre alla rinnovazione (si parla di non-sostenibilità).

Un ulteriore problema è che le caratteristiche da ecosystem engineer della specie stanno portando a modificazioni ambientali in una parte non trascurabile dell’isola. Tali modificazioni hanno effetti sulle altre specie e indirettamente sugli equilibri ecosistemici generali. Tali disequilibri rendono in alcuni casi difficile l’adattamento di X, che manifesta una certa inerzia nel cambiare le proprie strategie adattative.

Qualunque ragionamento sul futuro della popolazione X non può che portare alla stessa conclusione: la specie è destinata al declino numerico legato alla carenza di risorse (leggi: non ci sarà da mangiare per tutti) o allo sviluppo di patologie poiché gli individui sono fortemente interconnessi.

Come per tutte le popolazioni gli individui destinati a sopravvivere alla inevitabile fase di declino saranno quelli in grado di avere un migliore accesso alle risorse (cioè a “mangiare di più”) e a resistere maggiormente a eventuali epidemie.

Facile, no? Praticamente un caso-scuola per prevedere il futuro di una popolazione animale.

Ecco, ora provate a rileggere quanto scritto sopra tenendo in mente la seguente informazione:

La specie X si chiama Homo sapiens.

Tutto il resto rimane uguale.

P.S. altre considerazioni sulla dinamica di popolazione della nostra specie le potete trovare in questo articolo di qualche tempo fa.