Ieri abbiamo parlato di isole e della loro importanza nella nascita di nuove varietà e nuove specie. Ma non è tutto oro ciò che è isolato (e lo stiamo imparando).
Se una popolazione isolata è molto piccola va incontro a molti rischi, non ultimo quello di contare troppo pochi o di avere poche armi a disposizione (leggi: diversità genetica). A volte restare isolati è un vero schifo (lo dicono i soldati in tutti i film di guerra, ci sarà pur qualcosa di vero).
Con l’aumento della popolazione umana sono aumentate le aree “urbanizzate” del globo, ma non solo: molta gente richiede molto cibo, dunque molti ecosistemi naturali sono stati sacrificati per l’agricoltura.
Oggi le aree naturali (non solo i grandi parchi, parlo anche di boschetti, paludi ecc.) sono sempre più piccole e sempre più isolate. In termini tecnici si parla di frammentazione degli habitat.
Che fare?
Difficile tornare indietro e ri-naturalizzare centinaia di ettari di terreno agricolo. Molto più semplice creare dei “passaggi protetti” che consentano il transito della fauna (ma anche della flora, le piante non si muovono, i loro semi sì), dei corridoi che uniscano due o più aree naturali isolate.
Questi passaggi prendono il nome di corridoi ecologici, e sono di importanza vitale per lo spostamento della fauna lungo grandi distanze (continentali, a volte).
Pensiamo alle Alpi: una catena montuosa che corre per centinaia di km da ovest a est unendo la Francia meridionale alla Slovenia, con presenza umana molto più scarsa rispetto alla pianura padana, che può consentire, che so, a un grande rapace di spostarsi trovando cibo e siti di riposo.
Ma scendiamo di livello, pensiamo al corso di un fiume che attraversa una pianura dalla forte presenza di aree abitate e aree agricole con le loro intense lavorazione del terreno, la loro presenza incostante di vegetazione durante l’anno, con la loro presenza di pesticidi e concimi. Questo fiume e la vegetazione naturale che gli cresce attorno saranno una strada privilegiata da seguire per quegli animali che vogliono spostarsi.
Facciamo un esempio pratico: chiamiamo il fiume Piave e collochiamo la pianura pochi kilometri a nord della laguna di Venezia. Il risultato è quello che vediamo nella foto qui sotto:
Un corridoio serpeggiante (nessun architetto farebbe un corridoio a zig-zag, ma la natura sì), un’autostrada per la biodiversità.
Ma scendiamo ancora di un gradino, senza spostarci dall’area fotografata: ci sono animali che non viaggiano per molti kilometri e che hanno bisogno di spostarsi poco (ad esempio dei grossi coleotteri cerambicidi); per questi meravigliosi insetti essere isolati in un boschetto di poche decine di alberi circondato da ettari di campi nudi equivale ad essere su un’isola in mezzo all’oceano.
Ecco che in questo caso anche una siepe campestre ben fatta, pochi alberi e arbusti collegati tra loro e collegati ad altri boschi o aree naturali diventano un persorso fondamentale per non lasciare le popolazioni isolate (come si può vedere dall’immagine qui sotto).
Quindi, l’isolamento ha diversi effetti: può essere un elemento fondamentale per lo sviluppo di nuove specie, ma può essere una condanna senza appello in caso di calamità estreme (che so, un virus molto facilmente trasmissibile per dire la prima cosa che mi viene in mente). Per questo i corridoi ecologici, su scala continentale quanto su scala locale, giocano un ruolo fondamentale e sono giustamente tutelati dalla legge.
Ecco, ora sappiamo che anche per la fauna selvatica l’isolamento non sempre è una bella cosa, come non lo è per noi.
Ma teniamo duro, restiamo a casa ancora un po’!